INGRATITUDINE ASSICURATA di Gianni Pardo

Questo articolo dovrà sopportare il peso di qualche citazione, ma vale la pena di leggerle, queste citazioni, perché esse dimostrano che fino ad oggi gli Occidentali non hanno capito i palestinesi. E probabilmente non li capiranno neanche in futuro.
Secondo un palestinese, gli aiuti alimentari che le potenze occidentali cercano in tutti i modi di far pervenire alla popolazione palestinese (via terra, via cielo, via mare) «Sono solo mosse dell’Occidente per salvarsi la faccia. Non servono a nulla: serve invece fermare Israele». « Quello che gli americani e gli europei stanno facendo è pari a zero. Non c’è una pressione reale su Netanyahu, solo parole: mandate una nave, costruite nuovi porti, lanciate aiuti dal cielo quando basterebbe usare i valichi esistenti, in Egitto e Israele, costringendo Israele ad aprirli tutti e a far passare molti più aiuti». Chi parla così? Fares Ghaddoura, il nuovo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese per i Prigionieri, uomo generalmente considerato moderato. E, se questi sono i moderati, figuratevi gli estremisti.
Se un Paese ha perso la guerra da esso stesso dichiarata e se, non avendo una propria agricoltura, ha gravi difficoltà alimentari, sicuramente sarebbe molto grato a chiunque inviasse aiuti. Sarebbe persino grato al nemico che, invece di sterminare la popolazione (come da sempre ha promesso di fare Hamas), o invece di ostacolare l’arrivo delle derrate, favorisce quegli invii e cerca persino il modo di distribuirli: gli sembrerebbe di sognare, e forse si pentirebbe perfino di averlo aggredito. Invece Ghaddoura, come tutti i palestinesi, rimane ostile agli Occidentali i quali, secondo lui, cercano in ogni modo di lavarsi la faccia dalla vergogna. Quale vergogna? Quella di non fare nulla per i palestinesi.
E dice questo senza notare che gli Occidentali non hanno nessun dovere di aiutare i palestinesi, in primo luogo perché i palestinesi li odiano. Gli stessi imbecilli occidentali (milioni) che sfilano per le strade e sbraitano nelle piazze in favore della Palestina libera non soltanto non si rendono conto di essere manovrati dagli arabi, ma non si rendono conto che ciò che li accomuna ai palestinesi non è la giustezza della loro causa ma l’odio viscerale per l’Occidente. Cioè per quei Paesi per entrare nei quali tanti emigranti clandestini affrontano il Mediterraneo in cento su un gommone, fino a morirci. Gli Occidentali, specie i giovani, odiano la casa in cui abitano. Ma non c’è da stupirsi. Uno degli ultimi lussi, quando si è già avuto ogni genere di lusso, è quello di lamentarsi del lusso.
Ma torniamo a questo ministro dell’Anp secondo il quale gli Occidentali, pur cercando di aiutare la popolazione di Gaza, non hanno fatto niente; o comunque niente di utile. «Quello che gli americani e gli europei stanno facendo è pari a zero». E che cosa avrebbero dovuto fare? Semplice: fermare Israele. Usare i valichi esistenti, in Egitto e Israele, costringendo Israele ad aprirli tutti e a far passare molti più aiuti. Il serafico Ghaddoura, che se ne accorga o no, sta rimproverando all’Occidente di non avere dichiarato guerra a Gerusalemme, fino ad obbligarla (il verbo fermare, il verbo costringere) a fare ciò che i musulmani non sono riusciti a fare. Ma i palestinesi hanno mai notato che Israele ha un esercito? Si sono mai accorti che gli Occidentali, se non fossero pazzi, sarebbero a favore dell’unica democrazia del Vicino Oriente, piuttosto che di una manica di terroristi? Ma soprattutto, si sono accorti che contro Israele non è intervenuto in armi nessun Paese islamico? Non è un piccolo particolare. Se aiutare i gazawi fosse un dovere, al punto da dichiarare guerra ad Israele, questo dovere dovrebbero sentirlo in primo luogo gli altri Paesi islamici. Soprattutto se pensiamo che, mentre le diverse nazioni occidentali sono realmente separate e indipendenti, i Paesi musulmani appartengono alla Umma, l’unione dei credenti, che travalica e mette in ombra le frontiere laiche. Perché questo signore stralunato non comincia col prendersela con loro? E – soprattutto – perché non si chiede perché non siano intervenuti? E se un ministro non capisce queste cose, perché lo hanno fatto ministro, soltanto perché odia Israele?
Questo signore delira ma, come lui, delirano tutti i palestinesi della zona, dentro e fuori Gaza. E ciò è molto importante. È chiaro che, quando la guerra finirà, nessuno sarà grato all’Occidente per i suoi sforzi e i suoi aiuti. E se oggi non si capisce questo, è segno che l’Occidente non capisce e forse mai capirà i palestinesi, con i loro sogni tanto inverosimili quanto esosi.
Ancora una volta, anche prendendo il problema per un capo cui non si era pensato, si capisce perché, in 76 anni, Israele non sia riuscita a fare la pace con i palestinesi. Non c’è modo di ragionare con chi non usa gli stessi parametri umani e logici. Domani, coloro che abbiamo nutrito a Gaza, saranno capaci di fare sanguinosi attentati in Europa. Chi se ne stupirà manca di esperienza.

LA CONDANNA DI DAVIGO di Gianni Pardo

Piercamillo Davigo non mi è simpatico ma è un tipo d’uomo che rispetto. Non lo conosco bene e non conosco a sufficienza le ragioni per le quali la Corte d’Appello, confermando la sentenza di primo grado, lo ha condannato a un anno e tre mesi di reclusione per violazione del segreto d’ufficio. E tuttavia mi si perdonerà se considero quest’uomo del tutto innocente, dal punto di vista soggettivo. Mai – penso – Davigo violerebbe la legge, se è vero che ha dedicato l’intera vita alla sua più severa applicazione. Sarebbe come accusare il Savonarola di ateismo. E tuttavia – ironia della storia – come a suo tempo la Chiesa accusò e condannò Girolamo al rogo per eresia, i giudici di Brescia non hanno esitato a condannare questo illustre personaggio. Come può essere successo?
La prima ragione del fenomeno è che i magistrati (e soprattutto i magistrati anziani, ma parlo in generale) sono stati per molti decenni dal lato giusto dell’applicazione della legge, tanto che l’idea che qualcuno la applichi a loro sembra inverosimile. È come se un vecchio cacciatore incontrasse un coniglio che imbraccia una doppietta. In secondo luogo, un magistrato anziano ha visto troppe sentenze di colleghi che gridavano vendetta dinanzi all’Altissimo, e ne ha dedotto che, se professionalmente sono sopravvissuti quei colleghi, la realtà è che i magistrati godono di fatto dell’impunità, qualunque cosa facciano; o quasi. E niente di diverso ha visto chiunque abbia fatto parte del Csm, sopratutto nel campo della sua attività disciplinare. Decine di magistrati che meritavano di essere rimandati a casa con un calcio nel sedere se la sono cavata con un buffetto sulle guance e qualche mese di perdita di anzianità.
Infine, e questo dato è fondamentale per Davigo, personalmente immagino che non avrà nemmeno pensato alla violazione del segreto d’ufficio. Perché quel segreto dovrebbe operare nei confronti dei terzi, non dei magistrati: cioè non nei confronti di chi quei segreti potrebbe utilizzarli soltanto per il bene della nazione e per la migliore applicazione della legge. Un ginecologo non è un pornografo.
In altre parole – potrei sbagliarmi – Davigo mi appare come quei personaggi tragici che alla fine finiscono vittime della loro stessa ideologia. Non a caso si è citato Girolamo Savonarola. Ma gli esempi sono numerosi, da Origene che esagerò nella sua lotta contro la lussuria, al Tribunale rivoluzionario della Terreur, per non parlare di Saint-Just, di Fouquier Tinville e ovviamente di Robespierre. Quando un uomo si dedica con eroico zelo ad una passione divorante, fino a sacrificarle sé stesso, non è raro che quella stessa passione – condannata dagli dei come hybris, eccesso – lo uccida.
Ecco perché ho presunto e presumo che Davigo sarà colpevole di parole imprudenti (ha detto per esempio, più o meno, «Gli innocenti sono i colpevoli che non sono stati ancora scoperti»), di un’eccessiva sacralizzazione della giustizia e di altro ancora, ma nel caso specifico presumo che, soggettivamente, non si sia reso colpevole di nulla. Alla violazione del segreto d’ufficio non avrà neanche pensato: «Fra noi?» Solo che lui non faceva più parte dei noi.
Non insisto sul caso specifico, anche perché, come ho detto, ne so poco o nulla. Più interessante mi pare la constatazione del rischio del backfire (retroazione) insito nell’eccesso. Alcuni credono che la legge migliore sia quella draconiana, che non guarda in faccia nessuno, che non fa eccezioni, che non concede attenuanti. E non è così, se lo stesso codice penale, all’art.384, prevede una sfilza di reati per cui non si è punibili se li si è commessi per aiutare un congiunto. Ecco le parole esatte: «Nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371-bis, 371-ter, 372, 373, 374 e 378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore». Cioè la legge tiene conto dei sentimenti di un singolo o di un padre, e non dovrebbe farlo il giudice? Il codice cerca di non essere fanatico e ci dà anzi una grande lezione di umanità: diversamente dovremmo dare ragione a Cicerone quando ha detto summum ius, summa iniuria, il massimo del diritto [può corrispondere a] la massima ingiustizia.
Il principio che nessuno mai dovrebbe dimenticare è che la legge serve alla giustizia, non alla sua meccanica auto-applicazione.

GUERRA OFFENSIVA, GUERRA DIFENSIVA di Gianni Pardo

L’art.11 della Costituzione è una solenne baggianata. Eccolo: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Settantasette anni dopo la sua approvazione, l’Italia, invece di riconoscere che l’articolo è inapplicabile, si contorce per arrivare ad agire secondo buon senso. E ovviamente i risultati sono imperfetti.
Il principio è ottimo: purtroppo nessuno Stato ha mai confessato d’aver dato inizio ad una guerra d’aggressione. Roma conquistò un immenso Impero per difendersi, per avere un altro Stato cuscinetto che allontanasse la minaccia successiva. E niente di diverso ha fatto la Russia, soprattutto perché priva di confini naturali. Perfino Hitler – un vero aggressore, se mai ce n’è stato uno – si aggrappò al concetto di Lebensraum, spazio vitale: insomma attaccò la Cecoslovacchia e la Polonia per sopravvivere. Per questa parte la formulazione dell’art.11 è dunque inutile. Chiunque volesse aggredire poi direbbe che la sua non è una guerra d’aggressione. È un’operazione militare speciale. I nostri militari compiono “missioni di pace”. Sono armati, certo, ma poco. Sparano, ma a malincuore.
La rinuncia alla guerra “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” non è meno discutibile. Cercare di evitare i conflitti mediante negoziati è cosa giustissima. Si potrebbe essere sicuri di evitare la guerra soltanto se si potesse essere certi che la trattativa avrà successo, sempre e comunque. Ma così non è. Per giunta, chi affermasse che non ricorrerà in nessun caso alle armi, sarebbe soccombente in ogni negoziato: proprio perché la controparte saprebbe in anticipo che, in caso di rottura, l’altro cederebbe.
Il resto dell’articolo 11 ipotizza una polizia internazionale in grado di assicurare la pace. Ma questa polizia internazionale non esiste. L’Onu non ha un esercito. Se gli Stati Uniti non avessero voluto essere il braccio armato dell’Onu, e in realtà se non avessero voluto contenere l’espansionismo comunista, chi avrebbe impedito alla Corea del Nord di annettersi la Corea del Sud?
L’Onu, d’altra parte, è tutt’altro che un modello di giustizia e imparzialità. Da decenni quella nobile organizzazione rivede le bucce del comportamento di Israele per dare soddisfazione alla “maggioranza automatica” (notoriamente composta da nazioni antidemocratiche) e chiude gli occhi sulle aggressioni mortali subite da quel piccolo Paese. Che per fortuna sua non ha ripudiato la guerra. Se la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai generali (Clemenceau) figurarsi se se ne può delegare la decisione a chi ha creduto di esorcizzarla con le parole.
Inoltre, parlando seriamente, la distinzione fra difesa e offesa è più labile che non si pensi. Esempio. Vivo in una dittatura e il dittatore incarica il suo migliore cecchino di uccidermi sparandomi da mezzo chilometro. Io non posso sottrarmi alla minaccia (perché per mestiere opero all’aperto) e non posso denunciare il fatto alla polizia, che è d’accordo col dittatore. Se uccido io quel cecchino, l’unico tecnicamente in grado di portare a termine l’incarico, ho agito per difendermi o per aggredire? Certo è che, se aspetto che lui agisca per primo, al massimo poi qualcuno potrà vendicarmi. Ma io sarei morto. Non so voi, ma io ucciderei il cecchino.
Nel 1967 (dopo il casus belli della chiusura degli Stretti di Tiran) l’aviazione israeliana attaccò quella egiziana distruggendola totalmente al suolo. E poi vinse la guerra. Israele aveva la giustificazione giuridica del casus belli ma, se non l’avesse avuta, e fosse stata certa delle intenzioni aggressive di Nasser, avrebbe fatto bene a distruggere lo stesso l’aviazione egiziana. Sempre guerra sarebbe stata.
Quando si tratta di guerra non bisognerebbe discuterne comodamente seduti in poltrona, ma in una trincea, coperti di pulci e pidocchi, e dove presto forse arriverà un colpo di mortaio che ci ucciderà tutti. Vale anche per il Mar Rosso e per tutti i riguardi usati per gli Houthi. Come se non si arrestassero i criminali alle cinque del mattino per non disturbare la famiglia. A costo di bussare alle 8,30 e sentirsi rispondere dalla moglie: «Il noto assassino? È uscito. Ripassate più tardi». Gli Houthi affondano le navi occidentali, tagliano i cavi di internet con l’Oriente, e noi consideriamo troppo aggressivo andare a sterminarli a casa loro. Sarà, ma in tutti i secoli passati ci avrebbero guardati come pazzi.

MISONEISMO di Gianni Pardo

È notizia di questi giorni: la sinistra conta di fare di tutto per impedire la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. La ragione vera è che si vuole andare contro il governo, checché faccia, ma la decenza vuole che si alleghino altre ragioni. Che immagino si troveranno sui giornali. E tuttavia ci si può dispensare dal leggerle, perché saranno pretestuose e in realtà fondate su un argomento molto antico e molto potente, il misoneismo: è una cosa nuova? Allora è pericolosa.
Questo atteggiamento pregiudiziale si è avuto infinite volte, in passato. Rispetto ad una tale quantità di cose che, quando i giornali o gli storici le elencano, le liste risultano lunghissime e addirittura ripetitive. Ovviamente il miglior secolo, per trovare degli esempi, è l’Ottocento: infatti il XVIII secolo è stato quello della scienza teorica, mentre il successivo è stato il trionfo della scienza applicata, della tecnologia, di tutto quel progresso che ha cambiato la nostra vita di tutti i giorni. E tuttavia gli intellettuali, invece di vedere i vantaggi delle novità, hanno sempre gridato l’allarme contro l’Apocalisse. Un esempio per tutti: la fortissima ostilità alle ferrovie. Contro di esse si è detto il peggio del peggio, perfino che le mucche, spaventate a morte, non avrebbero più prodotto latte. Oggi, a parlare del pericolo delle ferrovie, si passerebbe per pazzi; allora, a dirsi ottimisti, si sarebbe passati per incoscienti.
Dunque qual è la colpa del Ponte sullo Stretto di Messina? Quella di essere nuovo. Quella di essere audace. Quella di abbisognare di una lunga campata centrale, di fondamenta solidissime, della capacità di resistere anche ai terremoti. Come se tutte queste cose gli ingegneri non le sapessero. Ma il misoneista la sa sempre più lunga ed è capace delle ipotesi più surreali. «E se un grosso meteorite cadesse sul centro del Ponte? E se ci fosse un terremoto di livello 10?» Uno obietta: «Non non c’è mai stato, che io sappia», ma quello non demorde: «Giusto. Ma se ci fosse?» Dopo di che va a dormire nella sua casa che forse non resisterebbe ad un terremoto di livello 6.
Il misoneismo è una delle più potenti molle dell’umanità. Quanta gente sa che cosa sono, esattamente, le cellule staminali? Ma, all’idea che esse potrebbero fare miracoli nella medicina, molti esclamano: «Vade retro!» (vai via, come si diceva al demonio). Sono coraggiosissimi nel rifiutare i rimedi ai mali altrui. Lo stesso perfino per l’ipotesi teorica dell’immortalità. «Se ti offrissero di non morire mai, ti piacerebbe?». A questa domanda, dalla risposta ovvia, molti dicono di no, semplicemente perché l’immortalità sarebbe una cosa nuova. E credono stupidamente che, da vecchi, non gli dispiacerà morire. E volete che gente del genere sia a favore del Ponte?
Ecco perché i governanti in questo senso non dovrebbero essere troppo democratici ma dovrebbero fare il bene del popolo, anche quando il popolo, in materia di novità, va contro il proprio interesse. Quanto tempo c’è voluto, perché le masse comprendessero l’utilità della scoperta di Louis Pasteur? Io non credevo che se ne sarebbe ancora discusso, un secolo e mezzo dopo, ma mi sbagliavo: in occasione della pandemia abbiamo avuto una resurrezione di questi pregiudizi. Finché si è criticato un singolo vaccino, passi. Malattia nuova, vaccino nuovo. E questo vaccino potrebbe anche essere difettoso. Ma la critica spesso è stata contro tutti i vaccini, contro il principio stesso del vaccino, contro la scoperta di Pasteur, buonanima.
Montanelli amava un detto: «Sono il loro capo e dunque li seguo». Intendeva che il modo più semplice di governare è seguire ciò che il popolo vuole sul momento, anche se è la cosa sbagliata. Invece il grande Uomo di Stato sa guardare lontano e non segue tanto gli umori popolari quanto ciò che gli insegnano la storia, l’economia, la polemologia, la politica e il buon senso. Un esempio clamoroso l’ho vissuto personalmente, per giunta stando dalla parte sbagliata. Anni fa, imperversava ancora la guerra d’Algeria e la Francia era in crisi. Tanto che chiamò a soccorrerla chi già l’aveva salvata una volta, Charles De Gaulle. Questi rassicurò anche i coloni francesi d’Algeria, gridando loro in piazza un famoso: «Je vous ai compris!» (vi ho capiti). Dopo di che consegnò l’Algeria agli algerini e invitò i francesi a rientrare in Francia. Ne fui molto deluso, malgrado la mia quasi venerazione per quell’uomo. Ma a conti fatti, tanti anni dopo, possiamo dire che le Grand Charles sbagliò?
Ecco, De Gaulle avrebbe fatto il Ponte sullo Stretto, esattamente come dette la bomba atomica alla Francia: cose che certamente Elly Schlein e Giuseppe Conte al suo posto non avrebbero fatto. Ma difficilmente alla Schlein sarà dedicata una piazza come quella in cui, a Parigi, c’è l’Arc de Triomphe.

CHI È SENILE di Gianni Pardo

Joe Biden non somiglia a Donald Trump, ma a Donald Duck, per gli italiani Paperino. Qualunque cosa prova a fare, tutto si mette male, e lui sembra destinato a fallire. Sul suo conto aleggia anche il sospetto che, avendo ottantuno anni, sia svanito. Accusa che personalmente trovo ingenerosa ma che ha convinto moltissime persone.
Un osservatore sereno non può avercela con Biden. Quando è stato eletto, questo Presidente è sembrato un personaggio ripescato dall’archivio ma dopo tutto ha fatto del suo meglio, durante questi anni. Si è trovato ad affrontare crisi gravissime e nuove – Nato, Ucraina, Gaza – e, seppure senza grandi successi, se l’è più o meno cavata. Forse è stato sfortunato, certo è che oggi troppi sono insoddisfatti. E tuttavia questo quadro ammette anche un’altra interpretazione, legata anch’essa all’età di Biden: ma non soltanto la sua.
La maggior parte delle teste che decidono, in Occidente, si è formata nel Ventesimo Secolo. Un secolo talmente suggestivo che in troppi non riescono ad uscirne. Tutti seguono gli schemi mentali e i principi dell’interminabile dopoguerra, senza rendersi conto che quel dopoguerra è finito. Sembrava inverosimile, sembrava impossibile, e quasi indecente, ma è avvenuto. Dunque non possiamo reagire agli eventi come se fossimo ancora negli Anni Settanta del secolo scorso. Ed è questa la colpa non soltanto di Biden, ma dell’intero Occidente.
Qual è stato il paradigma fondamentale, per tutto il dopoguerra? Che la pace armata con la Russia non doveva in nessun caso sfociare in una guerra. E probabilmente questo principio ha dominato a lungo anche la dirigenza russa. Ma se non fossimo vecchi (nel senso americano di senile, rimbambiti), nel 2014 avremmo dovuto capire che la Russia non rispettava più questo schema. E infatti s’è annessa la Crimea. Vladimir Putin era teoricamente disposto a scatenare la guerra sul suolo europeo ma era concretamente convinto che l’Europa non avrebbe avuto il coraggio di reagire. E infatti non ha reagito. Blande sanzioni, non riconoscimento dell’annessione, un buffetto sulla guancia: «Suvvia, smettila, birboncello». Putin invece ha raccolto il messaggio sostanziale: pur di rimanere in pace, l’Occidente era disposto a tollerare qualunque cosa. «E allora perché non l’annessione dell’intera Ucraina, visto che ho già un piede nel Donbass?» Da ciò è nata l’iniziativa del febbraio 2022 che ha sorpreso tutti e non avrebbe dovuto sorprendere nessuno.
Gli Occidentali, se non avessero avuto il calendario bloccato sul Ventesimo Secolo, avrebbero dovuto capire che o si rassegnavano all’egemonia russa o reagivano così duramente da rimettere immediatamente la bilancia in equilibrio. Invece di continuare a temere di irritare la Russia, avrebbero dovuto sfidarla, perché essa ci aveva sfidati. Bisognava inondare l’Ucraina di una tale quantità di armi e munizioni che, sempre combattendo sul suolo ucraino, si potessero ributtare i russi fuori dai confini nel giro di un mese o due. In modo da fargli capire che l’Occidente è capace di reagire. Bisognava rispondere non con i belati, con gli aiuti col contagocce, o con la tendenza disperata a cercare la pace: bisognava arrestare il rapinatore, non negoziare.
Né la Russia avrebbe potuto reagire. Anch’essa non era preparata alla guerra, perché non contava di combatterla. Anch’essa non avrebbe potuto obiettare nulla, dal momento che si combatteva su un territorio che non apparteneva certo alla Nato o all’America, ma neppure alla Russia. E in ogni caso di fronte ad un intervento in forze degli Stati Uniti, come quello che abbiamo visto durante la Seconda Guerra Mondiale, pararsi dinanzi al rullo compressore era soltanto un modo di procurarsi il suicidio per schiacciamento. Gli Occidentali questo non l’hanno fatto, perché erano fermi al pacifismo e non hanno capito che si era in una situazione del tutto diversa. Qui non si trattava di scegliere la pace o la guerra, ma di scegliere fra la vittoria e la sconfitta. La guerra era nelle cose. E chi spera soltanto nel pareggio finisce col perdere. Oggi tutti rimproverano Biden per questo stato di cose, ma gli avrebbero perdonato (ammesso che se lo fosse potuto permettere) un atteggiamento risolutamente e concretamente combattivo, nel marzo del 2022? Ne dubito. Fortemente.
Di questa incapacità di capire il presente gli Occidentali si sono resi colpevoli – e si rendono colpevoli – anche riguardo a Gaza. Lo schema era che se Israele, dopo aver subito un’aggressione, cominciava a vincere, si doveva fermare. Per non fare troppo male agli arabi. E Israele effettivamente la smetteva. Ma ovviamente questo gioco agli israeliani non poteva piacere. Ecco perché, nel corso degli anni, Israele si è armata sempre più, incrementando anche la propria produzione di armi, fino ad essere militarmente indipendente e poco disposta ad obbedire ai terzi.
Stavolta, dopo essere stata provocata il 7 ottobre in un modo inumano e fuori dagli standard dell’epoca moderna (Shoah a parte) Israele vuole la sua vendetta. E dal momento che la difficoltà del terreno di battaglia richiede di radere al suolo la Striscia di Gaza, è disposta a raderla al suolo. Che a tutti i terzi piaccia o no. «I morti sono nostri, ed ne trarremo vendetta a modo nostro. Senza sconti. Gaza ha voluto la nostra morte, noi ci limiteremo a volere la morte di tutti responsabili di Hamas. Costi quel che costi, anche ai civili. Non noi abbiamo voluto questa guerra».
E qui, ancora una volta Biden e gli occidentali hanno perso l’autobus. Avrebbero dovuto capire che la musica era cambiata. Che stavolta Israele non si sarebbe piegata. E a questo punto, se fossero stati intelligenti, se fossero stati pragmatici, avrebbero dovuto schierarsi col più forte e sostenere Israele in modo da fare della vittoria di Israele la vittoria dell’Occidente. Purtroppo i nostri dirigenti sono fermi al Ventesimo Secolo.
Forse Biden è senile, ma temo che lo sia l’intero Occidente.

IL DIRITTO DELLE GENTI NON ESISTE di Gianni Pardo

La competenza della Corte Penale Internazionale, leggiamo, riguarda i cosiddetti crimina iuris gentium ma dietro il diritto delle genti non c’è assolutamente niente. La denominazione elegante, in latino, fa presumere pozzi di sapienza giuridica ma, in realtà, nella Roma antica il diritto delle genti, cioè l’equità, fu applicato agli stranieri perché ad essi non si poteva applicare il diritto romano. La sua totale libertà fu a volte occasione di innovazioni positive, quando i romani si accorsero che lo ius gentium risolveva meglio una questione. Ma in nessun caso, nell’antichità, esso riguardò i grandi crimini di cui dovrebbe occuparsi la Corte dell’Aia.
I grandi crimina ci sono sempre stati e tali sono stati giudicati dalle persone perbene: ma è stato un giudizio morale o storico, non giuridico. In concreto, lo ius gentium non esiste. Persino la consuetudine giuridica (che esiste eccome) in Italia in tanto è valida e vigente, in quanto sia richiamata dalla legge scritta: nessuno può invocarla in quanto tale. Di fatto il diritto esiste solo quando ci sia dietro di esso uno Stato che abbia la forza di promulgarlo e di applicarlo.
Naturalmente nelle comunità umane che non possono essere designate Stato (per esempio le tribù dei primitivi) esistono norme di comportamento e relative sanzioni, ma queste vivono sulla base delle tradizioni e forse non possiamo nemmeno considerare queste regole diritto; diversamente dovremmo considerare diritto le rigide regole gerarchiche e comportamentali che reggono la vita di molti animali sociali.
Non si può nemmeno dire che la stessa società romana sia stata retta dal diritto, finché i quiriti mantennero segrete le regole della loro convivenza. Il momento in cui nacque veramente il diritto fu quando le norme giuridiche divennero pubbliche ed accettate, con la Lex Duodecim Tabularum (circa 450 a.C.). Insomma non basta dire che l’omicidio è una cosa molto brutta, perché questa affermazione in sé non è giuridica. Giuridica diviene quando il fatto viene descritto in un articolo di legge (chiunque causa la morte di un uomo) e adeguatamente sanzionato (è punito con la reclusione non inferiore ad anni 21, art. 575 C.p.).
Lo ius gentium esisterebbe se le gentes si fossero riunite e avessero proclamato all’unanimità un codice penale comprendente anche i crimini cui in passato nessuno aveva pensato, come quelli di cui furono accusati gli imputati del processo di Norimberga: genocidio, guerra di aggressione ed altri. Ma ciò non è mai avvenuto e prevedibilmente mai avverrà. E fu questa la grande – insuperabile e insuperata – difficoltà in cui si trovarono i giudici di quel processo. Non solo erano i vincitori che giudicavano i vinti, ma alcuni di loro non avevano la coscienza abbastanza pulita per poterlo fare. Proprio per trarli d’imbarazzo fu espressamente vietato parlare dei crimini commessi dai vincitori, in particolare dall’Unione Sovietica (sterminio delle Fosse di Katyn).
Partendo da questi presupposti, come ci si poteva aspettare l’obiettività, l’imparzialità e l’uguaglianza dei possibili colpevoli dinanzi alla legge? Molti degli imputati di Norimberga moralmente strameritavano la pena di morte, purtroppo non la meritavano giuridicamente. Come non può essere chiamato a rispondere di omicidio un generale che manda le sue truppe all’assalto, pur sapendo che molti di quei soldati moriranno.
Del resto, per dimostrare che lo stesso impianto del processo era antigiuridico basta far notare che esso violava il fondamentale principio di civiltà giuridica per il quale nullum crimen sine praevia lege, nessun atto può essere considerato un delitto se non in base ad una legge che preesista alla sua commissione. Questo principio è talmente importante che, nella nostra legislazione, è addirittura consacrato nell’articolo 1 del Codice Penale: Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite. E dove mai era stata prima promulgata una legge che rendeva crimine la guerra di aggressione? E quando mai la Germania l’aveva fatta propria? Senza dire che, invece di celebrarli, bisognerebbe trattare come criminali di guerra Alessandro Magno, Giulio Cesare, e perfino Lincoln.
Il processo di Norimberga è stato sentito da tutti come morale e necessario, ma è stato anche giuridicamente insostenibile. E neanche ora sono cambiate le cose, ora che abbiamo la Corte Penale Internazionale. Nei panni di Israele, pur pensando di non aver nulla da rimproverarmi, non mi sarei presentato a quel giudizio, contestando la Corte. Del resto, Israele non ha mai ratificato la sua adesione.
Le corti internazionali nascono dall’eternamente risorgente speranza di sentenze super partes ma, da un lato queste sentenze non valgono niente, se quelle corti non hanno la forza necessaria per applicarle; dall’altro la stessa terzietà delle corti, che dovrebbe essere la caratteristica morale che le legittima, è impossibile: perché le corti stesse non sono super partes. Anche se i giudici provengono dalle zone più diverse della Terra, la Terra stessa è divisa in blocchi: e ognuno, che lo sappia o no, è fedele al proprio blocco. Inoltre spesso proprio i più grandi Paesi (Stati Uniti, Cina, Russia) non sottoscrivono o non ratificano i trattati istitutivi delle varie Corti. Per esempio proprio la Corte Penale Internazionale dell’Aia. E dunque proprio ai più grandi colpevoli possibili non si applicano le norme di questo fantomatico diritto penale internazionale.
A mio parere non ci dovrebbe mai essere interferenza fra diritto e politica. Nessun governante sano di mente si comporta, in campo internazionale, tenendo d’occhio il codice civile e il codice penale. Ai codici può badare chi non ha niente di meglio da fare: in campo internazionale, meglio avere un’artiglieria temibile che avere ragione. Vantarsi di essere in linea con la legge non ha mai frenato nessun invasore.

INSULARITA’ di Gianni Pardo

Un notevolissimo politologo ha fatto un bilancio sconsolato della situazione dell’Occidente. Con la guerra di Gaza l’Europa e l’America hanno mollato l’Ucraina e presto questa dovrà arrendersi alla Russia. A Gaza Israele è impantanata e, se ha vinto militarmente, ha perso la guerra della propaganda. Si è avuta così la saldatura tra l’odio per l’Occidente (cui si dedicano con entusiasmo gli occidentali) e l’odio per gli ebrei, con il trionfo mondiale dell’antisemitismo.
Ma questo non è il peggio. Il peggio lo avremo se gli Stati Uniti eleggeranno Presidente Donald Trump, e se questi manterrà la politica del disimpegno che fino ad ora ha predicato. Da un giorno all’altro l’Europa, incapace di difendersi, crollerà. E nell’operazione, sostiene quell’intellettuale, perderanno anche gli Stati Uniti, perché quando perde l’alleato minore, perde anche l’alleato maggiore, che non sa ha saputo difenderlo.
Su quest’ultima parte del ragionamento si può tuttavia dissentire. La geografia infatti dice altro. Mentre la sicurezza della Slovacchia, per dire, dipende dalla sicurezza dell’Ucraina che sta fra la Slovacchia e la Russia, l’intera Europa può essere dominata da Mosca, dagli Urali a Lisbona senza che questo disturbi l’America. E si dice America, non Stati Uniti. Perché l’affermazione vale anche per il Brasile, l’Argentina o il Messico. Questi Paesi non hanno una flotta o un esercito comparabili con quelli degli Stati Uniti ma, per quanto li riguarda, la dottrina Monroe si applica da sé: con l’Atlantico.
C’è un punto in comune tra l’Europa Occidentale e gli Stati Uniti, anche se forse dipende da cause diverse: l’antipatriottismo. In Europa esso è stato fomentato accanitamente dall’Unione Sovietica, soprattutto in Paesi nazionalmente deboli come l’Italia, con lo scopo di fiaccarne l’eventuale resistenza militare in nome dell’internazionalismo. Gli italiani sono stati educati a temere il colonialismo statunitense, che non esiste, e a non vedere l’espansionismo russo, perché la Russia è stata a lungo la patria del comunismo e dell’internazionalismo.
Negli Stati Uniti invece l’antipatriottismo ha avuto come base il complesso di colpa per cui l’uomo bianco, ricco e forte (l’americano di John Wayne) è stato il prototipo del violento, de sopraffattore, di quello che ha rubato le terre agli indiani e li ha anche sterminati. Di quello che ha reso schiavi gli africani, che ha preteso che la civiltà occidentale fosse superiore a quella del Botswana. Bisogna imparare a sputare sulla bandiera a stelle e strisce. E via dicendo. Chiunque sia riuscito a trovare un’altra colpa immaginaria da addossare all’uomo bianco, l’ha proclamata ed essa è subito divenuta dogma intoccabile.
Come si vede, su ambedue le rive dell’Atlantico del Nord, la moda è al suicidio. Ma se l’Europa Occidentale realizzasse questo suo sogno ricorrente, ciò non comporterebbe automaticamente il suicidio degli Stati Uniti. Questi infatti praticano appassionatamente l’antiamericanismo ma difficilmente, venuto il momento, si suiciderebbero. Come suona il detto, un conto è parlar di morte, un conto è morire. E potrebbero non farlo perché hanno – e probabilmente avranno anche in futuro – la libertà di fare marcia indietro. In questo sono molto più fortunati di noi.
Il quadro del futuro potrebbe anche somigliare a quello del passato, l’Europa fra il 1945 e la caduta del Muro di Berlino. Qui miseria, oppressione, tirannia, mancanza di libertà e infelicità. Sulla riva ovest dell’Atlantico tutto il contrario, salvo che per quanto riguarda l’infelicità: dal momento che questa è un lusso in più per coloro che non hanno nulla di cui lamentarsi. La differenza rispetto ad allora sarebbe che l’Est in quel tempo cominciava dalla linea dell’Oder-Neisse, e l’Ovest era libero. Ora La Russia avrebbe realizzato i suoi sogni.
Naturalmente molti darebbero agli Stati Uniti la colpa di questa catastrofe, perché essi si sarebbero dovuti battere per l’Ucraina e la libertà dell’Europa. Dimenticando che il primo dovere di ognuno è quello di difendere sé stesso, senza aspettarsi che altri lo difenda. Invece gli europei non concedono agli americani il diritto di occuparsi soltanto degli affari loro e deprecano severamente l’isolazionismo di cui Donald Trump dovrebbe essere un campione. Dimenticano che accanto all’isolazionismo c’è un’altra parola che ha la stessa etimologia, isola: e cioè insularità. Gli Stati Uniti non sono un’isola, sono un continente, ma soltanto perché troppo grandi per chiamarli isola. Come avviene per l’Australia. E chi può negare che l’Australia abbia tutte le caratteristiche di un’isola?
Nel nostro caso si sono invertiti normalità ed eccezionalità. È l’interventismo americano ad essere l’eccezione, qualcosa in contraddizione con la geografia, non l’isolazionismo, che è naturale. E sbaglia chi ipotizza una possibile decadenza degli Stati Uniti, se lasciano cadere l’Europa. Il punto è che la difesa dell’Europa è troppo costosa (e in cambio di che cosa, poi, dell’antiamericanismo?) e agli americani l’Europa non interessa più. Che si difenda da sé, se può. E se non ce la fa, too bad, peccato. Gli americani hanno sufficienti tendenze suicide per conto proprio, per potersi interessare di quelle europee. Dunque sì, è possibile che gli Stati Uniti mollino l’Europa. È possibile che l’Europa divenga un feudo russo (come merita). Ma può anche darsi che l’Occidente come civiltà sopravviva nelle isole lontane, il Nord America, il Sud America, e l’Australia. Ché se poi anche loro dovessero soggiacere a qualche tirannia, sarebbe segno che l’umanità non merita di meglio.

LA CASSAZIONE E IL “LADDOVE” di Gianni Pardo

Ieri, non appena è stato noto il dispositivo della sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, l’Ansa ha scritto perentoriamente che essa invita ad applicare l’art.5 della Legge Scelba. Eccolo: «Manifestazioni fasciste. – Chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste è punito con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da 400.000 a 1.000.000 di lire (1)» La stessa pena prevista per il furto semplice. E questa è un’enormità: la gente è allarmata per i furti mentre, quando vede dei poveracci patetici che fanno quel saluto, ha soltanto una stretta al cuore. Il fascismo è definitivamente morto nel luglio del 1943, quando hanno arrestato Mussolini. E tutti i tentativi per tenerlo in vita (inclusa la Repubblica Sociale) sono andati a vuoto. Lo stesso Msi (opportunamente non vietato) è morto di morte naturale. Dunque chi fa quel saluto va compatito, non punito. E per questo bisognerebbe cambiare la legge Scelba.
Credevo che la cosa finisse lì, ma da ieri giornali e televisioni dicono che, secondo la Cassazione, in tanto si deve applicare l’articolo 5, in quanto ci sia il concreto pericolo della ricostituzione del disciolto partito fascista. E non è affatto la stessa cosa. Che cosa ha realmente scritto la Cassazione?
Leggo l’Ansa di stamani e vedo che riporta la seguente precisazione (presumo) della Suprema Corte: «Il saluto romano e la chiamata del ‘presente’ sono “un rituale evocativo della gestualità propria del disciolto partito fascista” che dunque “integra il delitto previsto dall’articolo 5 della legge Scelba” laddove, “avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”». Innanzi tutto non capisco le varie virgolette, e a chi siano attribuite, ma prendiamo tutto per buono. E se prendiamo tutto per buono dobbiamo aggiungerci un potente analgesico contro il mal di testa. La questione è semplice: l’art.5 da solo basta o no a integrare il reato?
La precisazione va distinta in due parti. Quella che va da Il saluto romano alla parola Scelba e quella che va dalla parola laddove alla parola fascista. La prima parte stabilisce inequivocabilmente che il saluto romano e la chiamata del ‘presente’ integrano il delitto previsto dall’articolo 5 della legge Scelba. La seconda parte dice che il reato esiste purché (laddove) quell’atto sia idoneo a realizzare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista. E qui non ci siamo più. Se il saluto fascista ecc. integrano il delitto, perché mai poi non si dovrebbe punirlo? Mentre la prima parte si richiama all’incontestabile lettera dell’art.5 della legge Scelba (come sopra riportato) a che cosa si richiama la condizione posta da laddove? Alla personale convinzione dei giudici?
Se i giudici potessero integrare e precisare gli articoli di legge, fino a contraddirli (sono loro che in questo caso hanno scritto, all’indicativo presente, «integrano il delitto previsto dall’articolo 5 della legge Scelba), domani potrebbero scrivere: chi commette un omicidio integra il delitto previsto dall’art.575 del Codice penale e deve essere punito con 21 anni di carcere, laddove sia provato che l’omicida riteneva l’atto capace di provocare una rivoluzione. Il che corrisponderebbe ad abolire il reato di omicidio. Laddove (che è un se con la corona d’alloro), impone una condicio sine qua non per la sussistenza del reato: e ciò conduce spesso ad azzerare il valore stesso dell’articolo di legge che lo prevede. Immaginate: Il colpevole di furto è punito con tot anni di reclusione laddove sia provato che la vittima era povera. Il reato di eccesso di velocità è punito con la tale pena laddove si dimostri che l’automobilista non aveva veramente premura. L’evasione fiscale oltre un milione di euro è punita con la tale sanzione, laddove non si dimostri che il colpevole è un amico mio.
Nessun giudice, nessuna giurisprudenza può annullare un articolo di legge. Io trovo l’art.5 della legge Scelba balordo e, se tale lo reputa anche la Cassazione, che lo dica e invochi l’abrogazione. Ma, finché è vigente, è vigente: e non comprende nessun laddove. Ancora una volta siamo davanti alla pretesa di certa magistratura di far giustizia invece di applicare la legge (ecco la giustizia: infliggere un anno di carcere a chi ha fatto soltanto il saluto fascista è un’aberrazione) o di fare politica per il bene del Paese (Berlusconi deve essere condannato, anche se innocente, per impedirgli di fare politica, danneggiando il Paese). In realtà, se il nostro fosse un Paese serio, da un lato condannerebbe quegli imbecilli a mesi di carcere solo per aver fatto il saluto fascista, perché così stabilisce la legge, dall’altro non darebbe fastidio a un innocente come Berlusconi (o, attualmente, Salvini) pur di portare avanti la propria politica. La legge si riforma o si abroga, non ci si può limitare a non applicarla o a contraddirla, secondo le proprie convinzioni etiche o politiche: perché questo non è nei poteri dei giudici. Qualcuno dovrebbe spiegare a certi magistrati che sono chiamati ad applicare la legge, non a crearla.

Il pricipio di realtà e le sue violazioni – di Gianni Pardo

Si può essere ragionevolmente convinti che i comunisti siano afflitti da qualche malattia mentale? Non è una battuta: c’è qualche buona ragione per crederlo. Basta chiedere: può essere sano di mente qualcuno che reputa che una certa teoria politica potrebbe rendere più liberi gli uomini, se dovunque sia stata applicata si è risolta in tirannia? Un uomo sano di mente può affermare che una teoria economica sia a favore dei lavoratori più poveri, se dovunque si sia tentato di applicarla quei lavoratori li ha resi più poveri di prima?
Ecco il link con la psichiatria. Stabilire che cosa sia una malattia mentale è questione cui persino gli esperti hanno difficoltà a rispondere ma una cosa è chiara: quando si tratta di identificarla in concreto, si applica il criterio che la patologia è tanto più grave quanto più una mente si allontana dalla realtà. Colui che sente delle voci mentre nessun essere vivente gli parla, è uno schizofrenico, uno psicotico che non è nemmeno penalmente responsabile delle sue azioni.
Viceversa chi pensa di essere sfortunato, che la sorte ce l’abbia con lui, e che nella vita avrebbe meritato di meglio di ciò che ha avuto, è solo leggermente malato di mente, tanto da poterlo annoverare tra i sani. Di qualcosa di più grave soffre chi è seriamente convinto che tutti ce l’abbiano con lui e lo odiano, perché in questo caso siamo in presenza di una mania di persecuzione. Ma in tutti e tre i casi si ha lo scollamento dalla realtà, in quanto né le voci, né la sfortuna, né l’odio di tutti contro uno esistono. Esiste il caso, che opera indifferentemente a favore o contro gli individui. Nello stesso modo non ragiona rettamente chi considera ottima una teoria economica che impoverisce la gente. Ecco perché ci si possono porre degli interrogativi sulla salute mentale di chi non tiene conto del fallimento planetario di una teoria. Ma è l’unico caso? No. Interi Paesi hanno una rappresentazione distorta della realtà.
Molto dipende dal culto che qualunque società ha per i fatti. Se è tendenzialmente colta e razionale, disdegnerà ogni mito e ogni convinzione di cui non veda la dimostrazione. Se invece il culto ce l’ha per la religione, per quanto lontana dall’esperienza, o per certe convinzioni di cui non chiede la dimostrazione, si ha un’intera società in cui il distacco dalla realtà rischia di essere notevole. Con evidenti danni per il retto pensiero. Un esempio l’abbiamo avuto nella seconda guerra dell’Iraq. Saddam Hussein, il rais locale, ha promesso l’Apocalisse agli americani, se avessero osato attaccare il suo Paese, e poi l’Iraq è stato totalmente sconfitto in cento ore. Ma questa potrebbe essere solo ingenua propaganda di regime. Il peggio è che un suo ministro, comunemente chiamato Alì il chimico, parlava di resistenza e di vittoria mentre i carri armati americani erano nei sobborghi di Baghdad e se ne sentivano le cannonate. Come mai poteva mentire così spudoratamente? È semplice, perché parlava agli irakeni. Non soltanto costoro sono capaci di credere alle favole (era già una favola che quel Paese potesse resistere agli Stati Uniti, tanto che solo i disfattisti antiamericani europei ne avevano parlato seriamente), ma Alì il chimico aveva anche una giustificazione teologica: gli infedeli credono che gli americani vinceranno sugli irakeni perché sono più forti, per i credenti gli irakeni vinceranno sugli americani se così vuole Allah. Per gli infedeli ciò che domina la realtà è la legge di causalità, per i musulmani è la volontà di Dio. E infatti Islàm significa abbandono alla volontà di Dio.
Di questa sorta di deviazione dalla realtà abbiamo anche un esempio di questi giorni. Secondo l’Ansa, uno dei leader degli Houthi, Ali al-Qahoum afferma, in un’intervista all’agenzia iraniana Irna, ripresa dal Times of Israel, che lo Yemen si trasformerà in una catastrofe per le forze statunitensi. Lo stesso Vladimir Putin, che pure in buona parte delira quando si tratta di Russia (prova ne sia che falsifica anche la storia) non oserebbe mai dire una frase del genere. Semplicemente perché pensa che gli americani dovrebbe batterli con le armi. Se invece fosse musulmano, penserebbe che per batterli basta la volontà di di Dio. E non si pensi che questo signor al-Qahoum abbia parlato in un momento di confusione. Egli ha detto precisamente: «Diciamo agli americani che le vostre azioni contro lo Yemen saranno sconfitte e che vi affronteremo con tutta la nostra forza. Dopo questa aggressione, lo Yemen si trasformerà nel cimitero degli americani e questi lasceranno la regione umiliati». Morti o umiliati? Ma quel signore non si occupa di queste quisquilie logiche. Ecco perché per gli Occidentali (incluso Israele) è così difficile arrivare ad accordi utili con i musulmani. Non ci intendiamo.

IL PRINCIPIO DI REALTA’ E LE SUE VIOLAZIONI

di Gianni Pardo

Si può essere ragionevolmente convinti che i comunisti siano afflitti da qualche malattia mentale? Non è una battuta: c’è qualche buona ragione per crederlo. Basta chiedere: può essere sano di mente qualcuno che reputa che una certa teoria politica potrebbe rendere più liberi gli uomini, se dovunque sia stata applicata si è risolta in tirannia? Un uomo sano di mente può affermare che una teoria economica sia a favore dei lavoratori più poveri, se dovunque si sia tentato di applicarla quei lavoratori li ha resi più poveri di prima?
Ecco il link con la psichiatria. Stabilire che cosa sia una malattia mentale è questione cui persino gli esperti hanno difficoltà a rispondere ma una cosa è chiara: quando si tratta di identificarla in concreto, si applica il criterio che la patologia è tanto più grave quanto più una mente si allontana dalla realtà. Colui che sente delle voci mentre nessun essere vivente gli parla, è uno schizofrenico, uno psicotico che non è nemmeno penalmente responsabile delle sue azioni.
Viceversa chi pensa di essere sfortunato, che la sorte ce l’abbia con lui, e che nella vita avrebbe meritato di meglio di ciò che ha avuto, è solo leggermente malato di mente, tanto da poterlo annoverare tra i sani. Di qualcosa di più grave soffre chi è seriamente convinto che tutti ce l’abbiano con lui e lo odiano, perché in questo caso siamo in presenza di una mania di persecuzione. Ma in tutti e tre i casi si ha lo scollamento dalla realtà, in quanto né le voci, né la sfortuna, né l’odio di tutti contro uno esistono. Esiste il caso, che opera indifferentemente a favore o contro gli individui. Nello stesso modo non ragiona rettamente chi considera ottima una teoria economica che impoverisce la gente. Ecco perché ci si possono porre degli interrogativi sulla salute mentale di chi non tiene conto del fallimento planetario di una teoria. Ma è l’unico caso? No. Interi Paesi hanno una rappresentazione distorta della realtà.
Molto dipende dal culto che qualunque società ha per i fatti. Se è tendenzialmente colta e razionale, disdegnerà ogni mito e ogni convinzione di cui non veda la dimostrazione. Se invece il culto ce l’ha per la religione, per quanto lontana dall’esperienza, o per certe convinzioni di cui non chiede la dimostrazione, si ha un’intera società in cui il distacco dalla realtà rischia di essere notevole. Con evidenti danni per il retto pensiero. Un esempio l’abbiamo avuto nella seconda guerra dell’Iraq. Saddam Hussein, il rais locale, ha promesso l’Apocalisse agli americani, se avessero osato attaccare il suo Paese, e poi l’Iraq è stato totalmente sconfitto in cento ore. Ma questa potrebbe essere solo ingenua propaganda di regime. Il peggio è che un suo ministro, comunemente chiamato Alì il chimico, parlava di resistenza e di vittoria mentre i carri armati americani erano nei sobborghi di Baghdad e se ne sentivano le cannonate. Come mai poteva mentire così spudoratamente? È semplice, perché parlava agli irakeni. Non soltanto costoro sono capaci di credere alle favole (era già una favola che quel Paese potesse resistere agli Stati Uniti, tanto che solo i disfattisti antiamericani europei ne avevano parlato seriamente), ma Alì il chimico aveva anche una giustificazione teologica: gli infedeli credono che gli americani vinceranno sugli irakeni perché sono più forti, per i credenti gli irakeni vinceranno sugli americani se così vuole Allah. Per gli infedeli ciò che domina la realtà è la legge di causalità, per i musulmani è la volontà di Dio. E infatti Islàm significa abbandono alla volontà di Dio.
Di questa sorta di deviazione dalla realtà abbiamo anche un esempio di questi giorni. Secondo l’Ansa, uno dei leader degli Houthi, Ali al-Qahoum afferma, in un’intervista all’agenzia iraniana Irna, ripresa dal Times of Israel, che lo Yemen si trasformerà in una catastrofe per le forze statunitensi. Lo stesso Vladimir Putin, che pure in buona parte delira quando si tratta di Russia (prova ne sia che falsifica anche la storia) non oserebbe mai dire una frase del genere. Semplicemente perché pensa che gli americani dovrebbe batterli con le armi. Se invece fosse musulmano, penserebbe che per batterli basta la volontà di di Dio. E non si pensi che questo signor al-Qahoum abbia parlato in un momento di confusione. Egli ha detto precisamente: «Diciamo agli americani che le vostre azioni contro lo Yemen saranno sconfitte e che vi affronteremo con tutta la nostra forza. Dopo questa aggressione, lo Yemen si trasformerà nel cimitero degli americani e questi lasceranno la regione umiliati». Morti o umiliati? Ma quel signore non si occupa di queste quisquilie logiche. Ecco perché per gli Occidentali (incluso Israele) è così difficile arrivare ad accordi utili con i musulmani. Non ci intendiamo.